Non che il mar Cafpio; e fenza lei, mi pare Che fora nulla aver la terra e il mare.
Ma il padre tuo (riprefe il genitore) Che dirà egli, e popol di Darete? Scufa i figli appo il padre un forte amore; (Diffe Tangile) e forfe voi'l fapete. Opra non fo, che arrechi difonore
Nè a me, Mi daran lode, e chiameran beato Che m'abbia Amor tanta beltà donato.
nè a lui; e l'anime difcrete
Silvano allor (che tale egli fi noma
Il padre mio) diffe: Figliuolo, io voglio Che tu riguardi pria quefta mia chioma, Che già biancheggia, e penfi al gran cordoglio Che urterà quefta mia cadente foma Quel più presto, fe mai per te mi toglio La dolce figlia, ed ei: Tu fempre appreffo Al ei farai, e le farai lo stesso.
Sortinguerra. Agir, ove da lui ne fia condotta Pofcia foletto a cafa mia s'accosta,
Mi chiama; io fcendo, e per obliqua e rotta Strada mi guida al mare, e c'imbarchiamo; Sciogliam le vele, e il lido abbandoniamo.
Verfo Biferta volgemmo la prora: E già tre notti, e già tre giorni interi Erano corfi, quando fu l'aurora Ecco due fufte di ladrone neri
Che ci fon fopra; ed all'ufanza Mora Ruotan le fciable, e dan colpi sì fieri, Che ognun de' noftri egli piagato o morto, E ancor Tangile è nel fuo fangue afforto.
Qual io reftaffi allor, fenza che il dica Voi vel penfate. Io prefi in man la spada Del mio Tangile per morir pudica; E già mi apriva in mezzo al cor la strada, Quando un Moro mi afferra, ed a fatica Mi viene che ful ferro infin non cada. Poi lieti dan per la vittoria un grido, E fmontan tutti ful vicino lido.
I morri affatto li gettan nel mare, E prefer qualche cura de' feriti, Per vedere, fe li poffono fanare, E venderli a gli Ardioti, ed a' Negriti: Poi la preda fi mettono a guardare, Ma di me fono tutti incaloriti;
E mentre ognun mi chiede, ognun mi vuole, Vengon tra loro ad acerbe parole.
Dalle parole poi vengono a' fatti, E fi danno le fciable, per la tefta, Sicchè fi fono omai quafi disfatti. Un drappello di pochi ancor ne resta; Ma quefti pur fi batton come matti. Che più? con fommo mio piacere e fefta Veggo i nemici miei condotti a morte, E il ciel ringrazio di sì bella forte.
Poi chiamo il mio Tangile ad alta voce, E lo cerco piangendo in mezzo al fangue; E temo di trovarlo, e al par mi noce Il non trovarlo. Talor freddo efangue Un cadavero fmovo, indi feroce
Il guardo, che fortezza in me non langue; In quefto mentre fofpirar lo fento,
E chiamarmi con roco, e basso accento.
Corro a quel fuono, e lui veggo cofperfo Di fangue, parte fuo, parte d'altrui, Che il fuo languido ciglio in me converfo Mi diffe: O cara, che farà di nui? Speriam (gli diffi) in ogni cafo avverlo Manda Giove benigno i doni fui. Quindi gli aftergo le ferite, e il lego, Ed a fperar forte migliore il prego,
Su la noftra peotta io molte cofe Torno a ripor, che-ftavano ful lide; E di balfami e d'erbe prodigiofe
Prendo un involto, in cui molto mi fido, E bagno le ferite fanguinofe
Dell' adorato mio marito fido
Sortinguerra. E ne riceve in breve tal conforto, Che s’alza, e move il passo in verso il porto.
Entriamo in barca, ed egli: O Filomena, Sciogli (mi diffe) pur tutte le vele. Lafciamo al ciel di noi la cura piena: Egli ci faccia il mar mite, o crudele: Egli il premio ei dia, o pur la pena; Se merta pena il nostro amor fedele. Io fo, come egli dice; e in alto mare Ci vediam tofto da' venti portare.
Pinoro, Re di Algeri, uomo già fatto, Di nove lustri in circa, era a ventura Venuto in mare da vaghezza tratto Di predar pefci, e alleggerir fua cura. Una forella fua di gentii atto Era con esso e di bella figura. Da quefti fummo noi veduti appens, Che vennero a incontrarci a vela piena.
Or qui comincia il mio fommo dolore, E che per morte solo averà fine. Pinoro nel vedermi arde d'amore, Ed arde per Tangile anche Lucrine La tua forella: ci fan festa e onore; S'appresentan chirurghi e medicine Pel mio Tangile; e la real Donzella Vuole alla cura fua affifter ella.
Pinoro affegna una ftanza vicina
A quella, ove egli dorme, al mio marito; Dove può quando vuole entrar Lucrina,
Che fammi a feco star gentile invito., In fine ripofati la mattina, Pinoro da' più nobili affiftito
Va da Tangile, e là mi fa chiamare; Che i noftri cafi ha gufto d'afcoltare.
Tangile francamente elpofe loro, Come era figlio del Re di Darete; E come Amor con la faetta d'oro Feri noi due, e prefe alla fua rete. A quefto dire impallidì Pinoro, E fi offufcaro le fue luci liete: Lucrina ancora fcoloriffi, e poi All' improvviso fuggì via da noi,
Le navi mie nell mar di Salamina Arfer, guari non è li tuoi navigli: Diffe Pinoro, e con furor cammina. Tangil mi guarda, e dice: Quai configli Prendiam, mia vita? Ed io; Amor fi affina, Siccome ogni virtù, ne' gran perigli; Che alla per fine è facile ogni ufcita A chi ufcir vuol dall' odiofa vita.
Sol temo (e non ti dolga, fe ti taccio Di poco amore, e di fofpetta fede) Temo Lucrina, che non fciolga il laccio Che mi ti ftringe, e non la facci erede Dell' amor mio, ed io ti fia d'impacció. La lunga età fa più ch' uomo non crede: Non piglia il primo affalto una cittade, Ne a un colpo fol di fcure il pino cade!
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