Che f'un fol ramo mi trarrò da presso De falfi lupi, che gli armenti furano, Sannazaro. Con alti legni e tutte le circondano; Per dar principio agli amorofi lai: Così né meni il di come la notte? U. Montano i'mi dormiva in quelle grotte, Questi can mi deftar bajando al lupo; Più non dormii, per fin che vidi il giorno; Sannazaro. M. U. E'l gregge numerai di corno in corno : Mi vinfe il fonno, ond'or tu m'hai ritratto. Di risponder a quel che dir ti fento. M. Or qual canterò io; che n' ho ben cento? O quella, che comincia: alma mia bella : U. Deh per mio amor di quella, Ch' a mezzo di l'altr'ieri cantasti in villa. Siccome al fol la neve, O come al vento fi disfà la nebbia, Or penfate al mio mal qual effer deve. O come foco in aqua mi disfaccio; Si m'è dolce il tormento, e'l pianger gioco: E cantando e ballando al fuon languifco, Così vuol mia ventura ovver mio fallo. U. Così vuol mia ventura ovver mio fallo, Di piaggia in piaggia fiori, e freschi erbette E cerco un tigre umiliar piangendo. M. Fillida mia più che i liguftri bianca Ed a me più proterva, Ch'a ban non fu colei che vinta e ftanca Per guider don delle gravofe fome U. U. Tirrena mia, il cui colore agguaglia M. Dolce del mio cor fiamma, Più cruda di colei che fe in Teffaglia Volgi a me gli occhi, ove f’annida amore. Paftor che fete intorno al cantar noftro Per rifcaldar la mandra, Verga a me falamandra, Felice infieme e miferabil moftro, In cui convien, ch'ognor l'incendio, crefca Che d'ogni gioia, e di fperanza privo Il tempo e l'ora che la mandra ingombrano. U. I miei compagni non fofpettano Del tardar mio; ch'io vo che'l gregge pafca, I'ho del pane, e più cofe altre in tasca Sannazaro. Men Sannazaro. Mentre farà del vino in quefta fiasca; Nietastasio. E fi potrebbe ben tonare, o piovere. Metastas i o. (Die Schaferkantaten dieses Dichters, zum Theil in kleine Schäferspiele erweitert, find: Il Ciclope; la Galatea; P'Endimione: l'Angelica. Man kann auch außerdem einige feiner Opern, vornehmlich Il Rè Pastore, ganz, øder jum Theil, als Schäferopern betrachten. An Wahrheit und åchter Naivetät der Empfindungen übertrifft Metastafio alle feine Vorgänger gar sehr.) IL CICLOPE. POLIFEMO, e GALATÉ A. POL. Deh tacete una volta, Garrule Ninfe. A che narrarmi ogn'ora. Ma l'empia del mio duolo Non riderà gran tempo. Eccola. Oh Dei! Quel volto fi mi alleta, Ch'io mi fcordo l'offefa, e la vendetta. Mio cor, tu prendi a scherno E folgori, e procelle; Ga Metastasio Galatea, dove fuggi? Ah senti, ah lascia Sempre a guizzar? La tua beltà non merta Ch'ami in te Galatea? Quel vafto ciglio, Quelle rivali al monte Selvofe fpalle? Il rabbuffato crine, L'ispido mento, o la terribil voce, Ch'io diftinguer non fo, fe mugge, o tuona Che fa tremar, quando d'amor ragiona? POL. Ah ingrata! agli occhi tuoi Meno orribil farei, fe nel penfiero Aci ogn'or non avessi. GAL. E' vero è vero. E' ver, mi piace Purchè il mio bene Non trovi ingrato, Mai di catene Non cangerò. POL. A Polifemo in faccia Parli, o ftolta, cofi? Vantarmi ardifce E il mar per te? Che svelta Dalle radici fue l'Etna fumante Rovefcero? Che opprimerò, s'io voglio Fra quelle vie profonde E Teti, e Dori, e quanti numi han l'onde Tréma, |