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Che f'un fol ramo mi trarrò da presso
Nel far lo spesso ritornar addietro.
Chi fia, f'impetro dalle mie venture
Ch' oggi fecure vi conduca al varco,
Più di me fcarco? o pecorelle ardite
Andate unite al vostro ufato modo;
Che fe'l ver odo, il lupo è qui vicino,
Ch'efto mattino udi romori ftrani:
Ite miei cani, ite Melampo ed Adro,
Cacciate il ladro con audaci gridi.
Neffun fi fidi nell' aftute infidie

De falfi lupi, che gli armenti furano,
E ciò n'avviene per le noftre invidie.
Alcun faggi paftor le mandre murano

Sannazaro.

Con alti legni e tutte le circondano;
Che nel latrar de' can non f'afficurano.
Così per ben guardar fempre n'abbondano
In latte e'n lane e d'ogni tempo aumentano,
Quando i boschi fon verdi, e quando sfrondano.
Ne mai per neve il marzo fi fgomentano,
Ne per don capra perche fuor la lafcino;
Così par che li fati al ben confentano.
A i loro agnelli già non nuoce il fascino:
O che fian erbe o incanti che poffedano,
E i noftri col fiatar par che f'ambafcino.
Ai greggi di coftor lupi non predano,
Forfe temon de' ricchi: or che vol dire
Ch'a noftre mandre per ufanza ledano.
Già femo giunti al luogo, ove il defire
Par che mi fprone e tire,

Per dar principio agli amorofi lai:
Uranio, non dormir: deftati omai,
Mifer acche ti ftai?

Così né meni il di come la notte?

U. Montano i'mi dormiva in quelle grotte,
E'n fù la mezza notte

Questi can mi deftar bajando al lupo;
Ond'io, gridando al lupo al lupo al lupo,
Paftor correte al lupo,

Più non dormii, per fin che vidi il giorno;

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Sannazaro.

M.

U.

E'l gregge numerai di corno in corno :
Indi fotto queft'orno

Mi vinfe il fonno, ond'or tu m'hai ritratto.
Vuoi cantar meco? Or incomincia affatto.
Io canterò con patto

Di risponder a quel che dir ti fento.

M. Or qual canterò io; che n' ho ben cento?
Quella del fier tormento?

O quella, che comincia: alma mia bella :
Dirò quell' altra forfe: ahi cruda ftella?

U. Deh per mio amor di quella,

Ch' a mezzo di l'altr'ieri cantasti in villa.
M. Per pianto la mia carne fi distilla,

Siccome al fol la neve,

O come al vento fi disfà la nebbia,
Ne fo che far mi debbia:

Or penfate al mio mal qual effer deve.
U. Or penfate al mio mal qual effer deve;
Che comè cera al foco,

O come foco in aqua mi disfaccio;
Ne cerco ufcir dal laccio,

Si m'è dolce il tormento, e'l pianger gioco:
M. Si m'è dolce il tormento e'l piarger gioco,
Ch'io canto fuono e ballo,

E cantando e ballando al fuon languifco,
E feguo un bafilisco:

Così vuol mia ventura ovver mio fallo.

U. Così vuol mia ventura ovver mio fallo,
Che vo fempre cogliendo

Di piaggia in piaggia fiori, e freschi erbette
Trecciando ghirlandette,

E cerco un tigre umiliar piangendo.

M. Fillida mia più che i liguftri bianca
Più vermiglia che'l prato a mezzo aprile
Più fugace che cerva;

Ed a me più proterva,

Ch'a ban non fu colei che vinta e ftanca
Divenne canna tremula e fottile:

Per guider don delle gravofe fome
Deh fpargi al vento le dorate chiome.

U.

U. Tirrena mia, il cui colore agguaglia
Le mattutine rofe, e'l puro latte,
Più veloce che damma,

M.

Dolce del mio cor fiamma,

Più cruda di colei che fe in Teffaglia
Il primo alloro di fue membra attratte :
Sol per rimedio del ferito core

Volgi a me gli occhi, ove f’annida amore.

Paftor che fete intorno al cantar noftro
S'alcun di voi ricerca foco od efca

Per rifcaldar la mandra,

Verga a me falamandra,

Felice infieme e miferabil moftro,

In cui convien, ch'ognor l'incendio, crefca
Dall dì, ch'io vidi l'amorofo fguardo,
Ove ancor ripenfando agghiaccio ed ardo.
U. Paftor che per fuggire il caldo estivo
All'ombra defiate per coftume
Alcun rivo corrente,
Venite a me dolente,

Che d'ogni gioia, e di fperanza privo
Per gli occhi fpargo un dolorofo fiume
Dal dì ch'io vidi quella bianca mano,
Ch'ogn'altro amor dal cor mi fe lontano.
M. Ecco la notte e'l ciel tutto f'imbruna,
E gli alti monti le contrade adombrano,
Le ftelle n'accompagnano e la luna;
E le mie peccorelle il bofco fgombrano
Infieme ragunate, che ben fanno

Il tempo e l'ora che la mandra ingombrano.
Andiamo appreffo noi ch'elle fen vanno,
Uranio mio, e già i compagni afpettano,
E forfe temon di fucceffo danno.

U. I miei compagni non fofpettano

Del tardar mio; ch'io vo che'l gregge pafca,
Ne credo che di me penfier fi mettano.

I'ho del pane, e più cofe altre in tasca
Se vuoi ftar meco non mi vedrai movere,

Sannazaro.

Men

Sannazaro.

Mentre farà del vino in quefta fiasca;

Nietastasio. E fi potrebbe ben tonare, o piovere.

Metastas i o.

(Die Schaferkantaten dieses Dichters, zum Theil in kleine Schäferspiele erweitert, find: Il Ciclope; la Galatea; P'Endimione: l'Angelica. Man kann auch außerdem einige feiner Opern, vornehmlich Il Rè Pastore, ganz, øder jum Theil, als Schäferopern betrachten. An Wahrheit und åchter Naivetät der Empfindungen übertrifft Metastafio alle feine Vorgänger gar sehr.)

IL CICLOPE.

POLIFEMO, e GALATÉ A.

POL.

Deh tacete una volta,

Garrule Ninfe. A che narrarmi ogn'ora.
Barbare, i torti miei? Qual inumano
Dilletto mai nel tormentarmi avete?
Galatea d'Aci è amante, il fo; tacete.

Ma l'empia del mio duolo

Non riderà gran tempo. Eccola. Oh Dei!

Quel volto fi mi alleta,

Ch'io mi fcordo l'offefa, e la vendetta.

Mio cor, tu prendi a scherno

E folgori, e procelle;
E poi due luci belle
Ti fanno palpitar.
Qual nuovo moto interno
Prendi da quei fembianti?
Quai non ufati incanti
T'infegnano a tremar?

Ga

Metastasio

Galatea, dove fuggi? Ah senti, ah lascia
Quell'onde amara. E qual piacer ritrovi
Fra' procellofi flutti

Sempre a guizzar? La tua beltà non merta
'Di nafconderfi al fol. Ne temi forfe
Gli ardenti raggi? All'ombra mia potrai
Pofar ficura, io lufingar coi canto
Voglio i tuoi fonni; e fe d'amor non foffre,
Ch'io ti parli, o tiranna, il tuo rigore,
Il giuro a te, non parlerò d'amore,
GAL. Ma qual beltà pretendi,

Ch'ami in te Galatea? Quel vafto ciglio,
Ch' t'ingombra la fronte?

Quelle rivali al monte

Selvofe fpalle? Il rabbuffato crine,

L'ispido mento, o la terribil voce,

Ch'io diftinguer non fo, fe mugge, o tuona Che fa tremar, quando d'amor ragiona? POL. Ah ingrata! agli occhi tuoi

Meno orribil farei, fe nel penfiero

Aci ogn'or non avessi.

GAL. E' vero è vero.

E' ver, mi piace
Quel volto amato,
E ad altra face
Non ardero

Purchè il mio bene

Non trovi ingrato,

Mai di catene

Non cangerò.

POL. A Polifemo in faccia

Parli, o ftolta, cofi? Vantarmi ardifce
Dunque il rival? Sai, che un offefo amore
Furor fi fa? Che mal ficuro afilo

E il mar per te? Che svelta

Dalle radici fue l'Etna fumante

Rovefcero? Che opprimerò, s'io voglio

Fra quelle vie profonde

E Teti, e Dori, e quanti numi han l'onde
Trema per Asi, ingrata,

Tréma,

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