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Metastasis.

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Trema, ingrata, per te. S'ei più ritorna

Teco a fcherzar ful lido,

Del mio furor.

GAL. Del tuo furor mi rido

POL. Dal mio fdegno il tuo dilletto
Dove mai fuggir potra?

GAL. Nel mio feno ayra ricetto;'

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Manfredi.

Manfredi.

(Von dem, besonders als Aftronom und Mathematiker zu Bologna berühmten, Eustachio Nianfredi, geb. 1674, geft. 1739, hat man eine zu Venedig, 1746 in 8. gedruckte poetiz sche Sammlung (Rime) vermischter Art, unter welchen fich einige Schäfergedichte, gleichfalls in griechischer und römis scher Manier, vortheilhaft auszeichnen.)

MELIBEO; Pier-Iacopo Martelli.
TITIRO; Euftachio Manfredi,

un mezzo

MEL. Titiro, tu di largo faggio alrezzo
Nomi di verginelli a i bofchi infegni
Sonar, lento giacendo a l'herba in mezzo
Allor che noi da fconofciuti regni
Scender vediam ne' dolci campi, e ne le
Sudate méffi, ahi, che feroci ingegni!
Che cinti, d'armi il ceffo atro, e crudele,
Stringer fan de le madri al feno i figli
Eridon feri de l'altrui querele.
Miferi noi! quai timide conigli
In van fuggiamo a gli umili tuguri
Colle tremule man coprendo i cigli
Ma ne rupe fcofcefa, od antri ofcuri,
O folitaria felva a noi ricetto

E' fi, che da tal vista ne affecuri
Ei cari buoi col manfueto afpetto,
Ufi a moftrar l'ubbidienza al folo
Cultor de' campi, a noi cura, e dilletto
Or tratti a forza, e fuor del patrio fuolo
Guidano ignot, e bellicofi arnesi,
E co' muggiti lor ne moftran duolo.
Queft facri a la pace, almi paefi
Per qual colpa si al ciel vennero in ira
Ghe fieno, oimè, da fera gente offefi?

Ah

Manfredi.

Ah ben vidio, che torbido ne gira

Lo ciel vor noi con nova luce, e fella
Che chioma ignea dirai dietro a fe tira,
Primiera apparve agli occhi miei la ftella
Su quel nero cipreffo, e diffi allora
Ma tu fu la zampogna álma, e fonora
Lo gori il labbro, e a vergini forelle
Da te cantate aggiungi IRAMA ancora?

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TIT. O Melibeo, pafciam le pecorelle

Se

Guidiamle a l'ombra, a la fontana, al fium
E di buon latte empiam cefte, e ficelle;
Senza cercar qual'aftro in ciel's'allume,
O che dimoftri con le chiome sparse,
Quel, che novo ora fplende oltre il costum
pur mai novo aftro laffufo apparfe,
E non come Ligurio afferma, e créde,
Girando venne in fuo tempo a moftrarfe
Ma poco a me ne cal, che nulla fede
Ho in chi de l'avvenir fi fa prefago
Dietro cui si gran turba andar fi vede
Jo non ho, che due capre, e quel sì vago
Mio buon giovenco, e quando altri mel toglia
Più provero farò, ma non men pago.
Faccia fortuna pur di me fua voglia;

Ella il favor meco contempra, e il danno
Poco mi dié, di poco anco mi spoglia.

O fcenda il Franco, o l'Unghero, o il Bri

tanno

(E chi fa dir quei nomi?) io fiedo, e canto
Nèfto a cercar quel, che i gran Regi fanne
Ed oggi, e chi potria tacere il vanto
D'IRAMA, e non per lei gonfiar l'avena
D'IRAMA in quefto fuol lodata tanto?
Che di celefte fpirito ripiena.

Corre a facrarfi al Tempio, e a noi f'a-
fconde

1

E pur toccava il terzo luftro appena !

Lei del Reno natio lungo le fponde

Chiaman le Ninfe a nome, e in queste rive

Manfredi.

IRAMA ogni antro, ed ogni eco risponde
Oimè, che fia di noi, che fole, e prive
Di tua sì cara, e dolce compagnia
Lafci piangenti, e fenza te mal vive?
Ella le Ninfe, ella i fuoi bofchi obblia,
Obblia la madre fua dolce, diletta,
Nè pur f'arresta a riguardar tra via
Nè così rátta mai damma, o cervetta,
Che il crudo arciero tra le frondi ha fcorto
Com'ella fugge, e il pie tenero affretta.
Ma certo fia, che da l'occaso a L'orto

Perciò corra fuo nome, e il ciel cortefe
Piova fopra di lei grazia, e conforto.

MEL. Mentre la gioja tua sì fai palefe

Secondi il ciel ciò, che il tuo carme adombra
Ma quinci efean le gregge, or che discefe
Da gli altiffimi monti maggior, l'ombra.

Beisp. S. 1. B.

A a

Ron

Romard.

Ronsard.

(Einer der fruchtbarsten und glücklichsten åltern franzes fichen Dichter war Pierre Ronsard, geboren 1524, ge storben 1585. Seine Sprache hat freilich noch die rohe, uns gefällige Gestalt ihres Zeitalters; aber doch auch manche aufs fallende Naivetåt; nur Schade, daß der Leser in dem Wohlgefallen hieran so gar oft durch unnatürliche Wendungen und müssigen gelehrten Prank gestört wird. Dadurch wurde die Verachtung dieses Dichters bei der Nachwelt seiner Nation faft eben so allgemein', als die Bewunderung gewesen war, die ihm seine Zeitgenossen verschwendeten. Boileau sagt

daher von ihm:

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Sa Mufe, en François parlant Grec et Latin,
Vit dans l'âge fuivant, par un retour grotesque,
Tomber de fes grands mots le falte pedantesque.
In seinen Hirtengedichten hatte R. übrigens den bei seiner
Nation auch in der Folge so herrschend gebliebenen Geschmack
am Allegorifiren, oder am Verkleiden der Hofvorfälle und
Hoffitten in Schäfertracht. Dieß ist auch bei nachstehendet
Schäferode der Fall, in der jedoch manche schöne und gefühl
volle Züge dem Auge des Kenners nicht entgehen werden.)

ECLOGUE.

Sur la mort de Marguerite de France, Soeur du
Roi François I.

Bien-heureufe et chafte cendre,

Que la mort a fait defcendre
Deffous l'oubli du tombeau!
Tombeau, qui vraiment enferre
Tout ce qu'avoit notre terre
'D'honneur, de grace, et de beau,

Comme les herbes fleuries
Sont les honneurs des prairies,

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