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Frugoni. Poche leggiadre auree Commedie accresca,
Bernier, tel vedi. A talun facil fembra
Cingerfi l'umil focco, e ful Teatro
Condur malvagio fervo, o troppo dolce
Credula Madre, o fimulanta Figlia,
Che di fecreto Amor pungol già fente,
O indocile garzon, che al ben rinchiuso,
E ripofto tefor del Padre avaro
Tende inceffanti infidie, e a goder dato
L'ore prefenti, l'avvenir non cura;
Ma quando in quefto faticofo guado
Poi mette i pronti remi, oh quanti incontra
Non preveduti, fventurati inciampi
D'occulte fecche, dove urtando rompe,
Che malagevol è, fenza dolore
Turpezza rinvenir, che rifo defti,
Ed imitando con piacer corregga
Il guafto, e vario popular coftume.

Infin pensai, ch' altri falire in grido
Potria per la fublime Epica tromba,
Che un novo Achille, o un redivivo Uliffe,
O linfigne pietà d'un' altro Enea,

E d'un' altro Goffredo al Cielo ergeffe;
Ma, fe il Meonio, o fe il Cantor di Manto,
O fe non alza da l'augufto Avello
Il gran Torquato l'onorata fronte,
Penderà muta da quel fante alloro,
Dove di tai Maeftri affai contenta
Di propria mano la fospefe Apollo.

Quefti, ed altri penfier, che par la mente
Come di Maggio ad Alveare intorno
Ronzanti pecchie, a me giacente in piuma
L'un dopo l'altro fi moveano a prova,
Ruppe, e disciolfe abil Coppier, che lieto
D'Indiche Droghe, e d'odorata puma
Largo conforto mi recava in Nappo
Di Cinefe lavoro. Io la man porfi
Al Nettare beato, e poiche a forfo

A

A forío l'ebbi delibato, or ș' abbia,
Diffi fra me, quante col calcio aperfe
Il pennuto deftriero acque in Parnafo.
E quaggiù fol quefta Oriental bevanda
Sia l'Aganippe, o l'Ippocrene mio:
Giurando il diffi per l'intonfa, e bionda
Chioma di Febo, per cui dir non ofo,
Diletto Aurelio mio, fe pur mel credi,
Menzogna, e il letto abbandonai d'un falto.

Frugoni.

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Dindemonte

Pindemonte.

Von diesem noch lebenden Dichter, dem Marchese und Ritter Ippolito Pindemonte kennt man die vom Herrn Jagemann unlångst übersezte Abhandlung über den gegens wärtigen Geschmack der Italiäner in den schnen Wissens schaften (Halle, 1788. 8.); in deren Vorbericht auch Nache richt von seinen Schriften ertheilt wird. Hier ist eine von feinen poetischen Episteln, deren Sammlung den Titel hat: Verfi di Polidete Melpomenio, Baflano, 1784. 8.

AL SIG. MARCHESE GIROLAMO
LUCCHESINI

Ciamberlano di Jua Maeftà Pruffiana a Potsdammo.

1

Ne l'Ifola gentil, gemma del Norte,
Cui d'Havel e di Sprèe l'onda rigira,
O dolce mio ne' giovanili ftudi
Compagno, e amico vincitor, che fai?
Quai fono i tuoi mattin, quai le tue fere?
Come di noi, d'Italia tua, che fpeffo
Volge un guardo Materno ove tu lei,
Serbi memoria? O de la corte l'aura,
I rai del trono, e quel che vedi e ascolti
Nume terren, tanto a' tuoi fguardi forfe
Fredde Nordiche piagge orna ed incanta,
Che vile d'Arno la bell'onda, vile

Scorre l'onda per te del facro Tebro?
Felice, ancor fe libertà ti piacque,
Effa, che d'ogni vago animo è cura,
Nulla, fuor che virtù, sì bello è al mondo,
Che il perderlo talora a l'uom non giovi,
E le varie de l'uom forti, ne liete
Ne mefte, in noi fon pur come rugiada
Che dal loco ove fta prende il colore,

Bianca ful gelfomin, verde fu l'erba,
Purpurea in fu la rofa. E che? fors' anco
Libertade non è che un nome, un fogno
Lufingator di non mai fermo fpirto,

Che tutto agogna, e fdegna tutto a gli altri
Inutil fempre, e spesso a fe di pondo.
Se felice fon io, penfar che vale

S'io libero non fon? fe il laccio è d'oro
Se bella mi vegg'io fplendere intorno
Gemmata rete, che mi ftringe appena,
Sofpirerò la libertà vantata,

Che talor priva d'ogni luce, e troppo
Talor fentita alfin poi fazia e ftanca?
Te però faggio, te che certo hai l'arte
Di goderti d'un bene, e che le porte
A i defir nuovi, onde più bello è fempre
Refo tutto oltra il ver, chiuder faprai,
Te loda, o Lucchefin, l'amica Mufa.
Ma quai fon le tue vegghie? ed a qual fegno
Drizzi lo ftral de la tua mente? Febo
So che fpeffo mutar fide Elicona
Con Sans-fouci, fpeflo mutar Sofià
Parigi e Oxford gode col regio albergo.
Tocchi tu mai le aurate corde? o tanto
La rigida Sofià di te s' indonna.

Ch' onta far temi, anche fingendo, al vero?
Spiar gli arcani di Natura: e il noftro
Ne l'utile comun volger diletto,

Lodo: ma non curar poi d'altro? nulla
De la commoffa fantafia, dar nulla
Del cor commoffo a le domande, a l'urto?
Creder nol fo: potea vicin d'Augufto
Orazio non cantar? Lafcio che cinto
Il tuo Re de gli allor di Marte e Apollo
Vince le guerre, et a cantarle infegna
Con l'anima medesma, onde le vinfe.
Non è bello veder tra fchiere ed armi
Muover le Donzellette di Parnafo,
E Sotto la real bellica tenda
Mifte fra,i Genj de la guerra entrando,

Dindemonte

Pindemonte, A Lui che fiede, e fu la deftra appoggia
La gloriofa umida guancia, a Lui
Terger gli alti fudori, e in auree coppe
Di nettare Febèo porger riftoro?
O Lucchefin, fempre a te rida il cielo
E le tue vele Euro coftante in alto
Mantenga: io de l'ameno Adige in riva
Stommi fra i patrj ozj contento. Anch'io
Cinto d'auree catene: Amor n'è fabbro, ́
E Fille intorno al cor le avvolge, Fille,
Cara fanciulla, per cui Sola io bramo
Viver la vita mia, fanciulla cara,
Per cui non temerei finir la vita.
Fra le tenere cure io non m'avvolgo
Tanto però, che l'arti mie non tratti,
Se deftra move aura da Pindo: al cielo
Sale allora un volante Inno, o i coturni
Mi stringo a pafleggiar l'Itale fcene
E m'apparecchio un nome oltre la tomba,

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