Luigi Pulci., Credendo a queftro tagliare al fin l'offo; Frusberta balza, e faceva faville, Così de' colpi gli die forfe mille.
Era Ulivier tutto maninconofo, E del cavallo in terra difmontato, Così Dodone, e piangea dolorofo, E'ndrieto inverfo Rinaldo è tornato, Per dar foccorfo al Paladin famofo; E Ulivieri aveva ragionato: Penfo che morto Rinaldo vedremo Da quel ferpente, e tardi giugneremo.
E non fapean ritrovar il cammino, Erano entrati in certe ftrette valli: Ecco Rinaldo, e'l lion già vicino Maraviglioffi, e cominciò a guardalli; Vide Ulivier non avea Vegliantino, Diffe: coftoro ove aranno i cavalli ?. A qualche fiera fi fono abbattuti, Dove egli aranno i lor deftrier perduti.
Ulivier quando Rinaldo vedea, Non fi può dir fe pareva contento, E diffe: veramente io mi credea Ch' omai tu fuffi dalla vita spento; E poi ch' allato il lione (corgea Al lume della luna ebbe spavento, Diffe Rinaldo: Ulivier, non temere Che quel lion ti facci dispiacere.
Sappi, che morto e quel dragon crudele, E liberato ho quefto mio compagno, Che meco or vien come amico fedele, E arem fatto di lui buono guadagno; Prima che forfe la luna fi cele, Tratto ci arà quefto lion grifagno Del bofco, e guideracci a buon cammino; Ma dimmi, hai tu perduto Vegliantino?
Ulivier fi fcufò con gran vergogna: Come tu fufti alle man col dragone, I deftrier ci hanno grattata la rogna Tra mille fterpi, e per ogni burrone; Ognun voleva far quel che bifogna,
Luigi Dulci. Per ajutarti, com' era ragione ; Ma ritener non gli potemmo mai, Tanto che forfe di noi ti dorrai.
Noi gli lafciammo preffo a una fonte, Perchè pur quivi fi fermorno a bere; Quivi legati appiè gli abbiam del monte, E or di te venivamo a fapere, Se rotta avevi al ferpente la fronte, O da lui morto reftavi a giacere, Diffe Rinaldo: pe' cavalli andia.no, E tra noi fcufa, Ulivier, non facciamo.
Ritrovorno ciafcuno il corridore; Dicea Rinaldo: or da toccar col dente Non credo che fi truovi, infin che fore Ufciam del bofco, o troviamo altre gente: Cofi ftelli tu, Carlo Imperadore,
Che vuoi, ch'io vado pel mondo dolente; Così fteffi tu, Gan, com'io fto ora, Ma forfe peggio star ti farò ancora.
E così cavalcando con fofpetto, Rinaldo fi dolea del fuo deftino; E quel lione innanzi va foletto, Sempre mostrando a coftoro il cammino : E poi ch' egli hanno falito un poggetto, Ebbon veduto un lume affai vicino; Che in una grotta abitava un gigante, E un gran fuoco s'avea fatto avante.
Una capanna di frafche avea fatto, Ed appicato a una fua caviglia Un cervio, e della pelle l'avea tratto; Sente i cavai calpeftare, e la briglia, Subito prefe la caviglia il matto, Come colui che poco fi configlia : A.Ulivieri, furiofo più ch' orfo, Addoffo prefto la beftia fu corlo.
Ulivier vide quella mazza groffa, E del gigante la mente fuperba Volle fuggirlo; intanto una percofla Giunfe nel petto sì forte, ed acerba, Che bench' aveffi il Baron molta possa, Di Vegliantin fi trovava in full' erba. Rinaldo quando Ulivier vide in terra, Non domandar quanto dolor l'afferra.
E diffe: ribaldon, ghiotton da forche, Che mille volte fo l'hai meritate; Prima che fotto la luna fi corche, Io ti meriterò di tal derrate. Quefto beftion con fue parole porche, Diffe: a te non darò fe non gotate; Che fe' tu tratto del cervio all' odore? Tu debb' effere un ghiotto o furatore.
Rinaldo, ch' avea poca pazienza, Dette in ful vifo al gigante col guanto, E fu quel pugno di tanta potenza, Che tutto quanto il moftaccio gli ha infranto. Dicendo: Iddio non ci are' fofferenza.
Pure il gigante riavuto alquanto, Arrandellò la caviglia a Rinaldo, Che d'altro che di fol gli vuol dar caldo.
Rinaldo il colpo schifè molto deftro, E fe Bajardo faltar com' un gatto; Combatter co' giganti era maeftro, Sapeva appunto ogni lor colpo ed atto; Parea il randello ufciffi d'un balestro: Rinaldo menò il pugno un altro tratto, E fu fi grande quefto moftaccione, Che morto cadde il gigante boccone.
E poco meno e' non fè, com'e' fuole Il drago, quando uccide il leofante, Che non s'avvede, tanto è fciocco e fole, Che nel cader quel animal pefante L'uccide, che gli è fotto, onde e' fi duole;
25
Luigi Pulci., Così Rinaldo a questo fu ignorante, Che quando cadde il gigante gagliardo, Ifchiacciò quafi Rinaldo, e Bajardo,
E con fatica gli ufcì poi di fotto, F bifognò che Dodon l'ajutaffi; Diffe Rinaldo: io non penfai di botto Così il gigante in terra rovinaffi, Ond' io n' ho quafi pagato lo icotto; E' diffe ch' all' odor d'un cervio traíli, Alla fua capanetta andiamo un poco, Dove fi vede colaffù quel fuoco.
Allor tutti imontaron dell' arcione, Alla capanna furono avviati, Vidono il cervio; diceva Dodone: Forfe che mal non farem capitati; Fece d'un certo ramo uno fchidone, Rinaldo intanto tre pani ha trovati, E pien di ftrana cervogia un barlotto, E diffe: Il cervio mi fa di biscotto,
Erano i pan com' un fondo di tino, Tanto ch' a dirlo pur mi raccapriccio : Diffe Rinaldo fe c'è'l pane e'l vino, Ch' afpettiain noi, Dodon? quì fa d'arficcio. Dice a Dodone: afpetta un tal pochino, Tanto che lievi la crofta fu'l riccio. Diffe Rinaldo: più non l'arroftiano, Che'l cervio molto cotto è poco fano,
Diffe Dodone: i't' ho intefo, Rinaldo, Il gorgozzul ti debbe pizzicare; Se non è cotto, e' basta che fia caldo, E cominciorno del cervio a fpiccare: Rinaldo fel mangiava intero, e faldo, Se non che la vergogna il fa reftare; E de' tre pan fece paura a uno, Che çol barlotto non beve a digiuno,
« EdellinenJatka » |