Inghilterra con l'isole, che bagna
L'oceano intra 'l Carro e le Colonne,
Infin là dove fona
Dottrina del fantiffimo Elicona,
Varie di lingue e d'arme e delle gonne,, All' alta imprefa caritate fprona. Deh qual amor si licito o sì degno, Qua' figli mai quai donne
Furon materia a sì giufto disdegno? Una parte del mondo è, che fi giace, Mi fempre in ghiaccio ed in gelate nevi Tutta lontana dal cammin de fole: Là fotto giorni nubilofi e brevi Nemica naturalmente di pace Nafce una gente, a cui 'l morir non dole. Quefta, fe piu divota che non fuole Col Tedefco furor la fpuda cigne, Turchi, Arabi e Caldei,
Con tutti quei che fperan negli dei Di qua dal mar che fa l'onde fanguigne, Quanto fian da prezzar conofcer dei; Popolo ignudo paventofo e lento, Che ferro mai non ftrigne,
Ma tutti colpi fuoi commette al vento. Dunque ora è 'l tempo da ritrarre il collo Dal giogo antico e da fquarciare il velo, Ch'è ftato avvolto intorno agli occhi noftri, E che'l nobile ingegno, che dal cielo Per grazia tien dell immortale Apollo, E l'eloquenza fua virtù qui moftri, Or con la lingua or con laudati inchioftri; Perche, d'Orfeo leggendo e d'Anfione, Se non ti meravigli,
Affai men fia, ch' Italia co' fuoi figli Si defti al fuon del tuo chiare fermone; Tanto che per Gefù la lancia pigli; Che f'al ver mira quefta antica madre, In nulla fua tenzone
Fur mai cagion sì belle e sì leggiadre, Tu c'hai per arrichir d'un bel tefauro, Volte l'antiche e le moderne cartes
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Volando al ciel con la terrena foma, Sai dall' impero del figliuol di Marte Al grande Augufto, che di verde lauro Tre volte trionfando ornò la chioma Nell' altrui ingiurie del fuo fangue Roma Speffe fiate quanto fu cortefe: Ed or perche non fia Cortefe no, ma conofcente e pia A vendicar le dispietate offefe Col figliuol gloriofo di Maria? Che dunque la nemica parte fpera Nell' umane difefe
Se Crifto fta dalla contraria fchiera? Pon i mente al temerario ardir di Serfe, Che fece per calcar i noftri liti, Di novi ponti oltraggio alla marina; E vedrai nella morte de' mariti Tutte veftite a brun le donne Perfe E tinto in roffo il mar di Salamina: E non pur quefta misera ruina Del popolo infelice d'oriente Vittoria ten promette
Ma Maratona e le mortali ftrette Che difefe il Leon con poca gente; Ed altre mille c'hai fcoltate e lette; Perche inchinar a Dio molto convene Le ginocchia e la mente,
Che gli anni tuoi riserva a tanto bene. Vedra' Italia e l'onorata riva,
Ganzon, ch' agli occhi miei cela e contende, Non mar non poggio o fiume,
Ma folo amor, che del fuo altero lume Piu m'invaghisce, dove piu me'ncende; Ne natura puo ftar contr'al coftume. Or movi, non fmarrir l'altre compagne; Che non pur fotto bende Alberga amor, per cui fi ride e piagne.
Filicaja.
Ungemein viel edle Empfindung, Natur und Wohlklang charakterisirt die lyrischen Poesieen des Vincenzo da Filica, ja, eines sehr schäzbaren florentinischen Dichters, geb. 1642, gest. 1707. Der größte Theil seiner Oden gehört in die beis den ersten Klassen, der geistlichen und hervischen; ich habe indeß mit Fleiß es bis hieher verspart, eine Probe aus ihur mitzutheilen, um die folgende wählen zu können, in der so viel väterliche Wärme und zärtliche Besorgniß redet. In dieser Hinsicht wird man ihr leicht den oft etwas zu didaktis fchen Ton verzeihen können.
IL TESTAMENTO AI FIGLIUOLL
Figli, fe di mia Mente
Figli non fiete, udir di Padre il nome Sdegno, e dal dritto degli affetti efente Rendo a Natura i doni fuoi. Mà pria, Ch' io 'l faccia, e imbianchi le attempate chiome Stagion più fredda, e ria,
E pria, che in voi la giovenile ardente Baldanza il fren ricufe,
In femplice parlar liberi sensi Convien che a voi difpenfi.
E fe fian difadorne, afpre, e confufe Mie voci, amor mi fcufe, Amor, che nel pensiero a me ragiona, E in rozzi accenti a favellar mi sprena.
II.
Teneri, e in latte furo
Voftr'ingegni fin qui: ne ancor l'incolta
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Sono aperte officine, ove in piu modi Mille l'Uom contro l'Uom fabbrica frodi.
III.
Ne foffriro, che deggia
Tener voi sempre alta ignoranza involti; Che ignoranza è rea cofa, e più danneggia In Uom gentil, che in un del volgo, in quefta Fa rider pochi, e in quel fa pianger molti. Fè giura il Mondo, e prefto Rompe fè; ma chi'l crede ancor che'l veggia? Cangia l'Empio in Natura
Del tradir l'empia ufanza, e fama, e onori,
E pompe, ed oftri, ed ori,
Mentre da lunge in bel color figura, Con infedel pittura
Un bel mifto di frodi orna, e compone, E perchè inganni, al non fuo lume il pone.
IV.
E dice: io fon che in preda
Offro me fteffo a chi mi adora; io fono, Che bear pofle, e quanto poffo il veda
Più d'un, del cui gran fafto Idol già fui. Così favella: e de' fuoi detti al fuono Chi mai farà, che lui
Non qual' egli è, ma qual fi fa non creda? Al Ligure Nocchiero
Gran Continente, contra'l ver, già parve Quella, che pria gli apparve Ifola ingannatrice: e contro'l vero Che l'uman pensiero,
Ch'ampio, e infinito il ben fia della Terra, Cui breve spazio, e circonfcrive, e ferra,
Ed oh raffini omai
Più adulta etate in voi prudenza, e fenno E fenza velo della mente i rai Rifplendan sì, che ne gli altrui perigli Tal' ei v'appaia un dì, qual'io l'accenno, F come invelchi, e pigli
Veggiate, e quanti di fuperbia, e quai Vapor, che un vento sface,
Alzi: veggiate, com'ei fugge, e paffa, E tal veftigio laffa,
Qual full' alto Ocean prora fugace, E com'è poi fallace,
E fcarfo, e vano, e quanti affanni, e quanti Cofta ogni fuo favor delitti, e pianti.
VI.
Vedrete allor, vedrete
Disperate fperanze a lui d'intorno, El glorie infami, ed allegrie non liete, Scheletri di potenza, e sconci aborti Di gran fortune, e pentimento, e fcorno, E danni, e infidie, e torti,
E fplendidi naufragi; e poi direte: Chi è coftui, che tutto
Offre, e nulla poi dà? Chi è coftui,
Che d'ombra i fervi fui
Pafce, e di fronde in fuol bugiardo, e asciutto Abbonda, e scarfo ha il frutto,
Che odia più chi più l'alma, e nel foggetto. Stuolo ama fol degli odj fuoi l'effetto?
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